Big Bang
Il
termine Universo designa tutti gli oggetti celesti e lo spazio
che li contiene.
La branca dellastronomia che ne studia lorigine e
levoluzione è la
Cosmologia
(dal
greco kòsmos = universo, e lògos = discorso)
L’universo
nel suo insieme è quanto di più lontano dal senso comune ci possa
essere.
Innanzitutto è finito (almeno l'universo
osservabile, cioè quello da cui ci possono giungere informazioni) ma non
limitato: cioè se ne può definire un raggio, ma non
ha un confine.
Inoltre,
dalla Terra vediamo tutte le galassie lontane che si
allontanano sempre più da noi; e questo potrebbe farci pensare di
essere al centro dell'espansione del cosmo.
Ma se ci trovassimo in qualsiasi altra galassia vedremmo lo stesso spettacolo;
nell'universo, tutto si allontana da tutto, non esiste un centro.
E ancora,
visto che l'universo si espande, viene da immaginare che lo faccia in
"qualcosa".
Invece no: non esiste niente fuori dall'universo.
Anzi, non esiste neppure un "fuori".
Perché è l'universo
stesso con la sua espansione che crea lo spazio e il tempo.
C'è un'altra
cosa da aggiungere.
Si potrebbe discutere (e qualcuno lo fa) se la cosmologia, cioè la disciplina
che studia l'universo nel suo insieme, sia davvero una scienza.
Perché normalmente nella scienza si possono fare esperimenti, ripeterli,
confrontarli...
Ma di universo ce n'è uno solo, per quanto ne sappiamo, e non è un oggetto che
si possa maneggiare in laboratorio.
Insomma,
l'universo è molto difficile da studiare.
E ancora più difficile è capire come sia nato, visto che parliamo di un'epoca
tanto lontana nel passato che non solo non c'era l'uomo, ma neanche si era
formata la Terra.
L'epoca del Big Bang.
SEMPRE PIÙ GRANDI
Come detto, il nostro universo è una struttura in espansione, i cui mattoni sono sterminate famiglie di stelle, le galassie, disperse in uno spazio enorme e ciascuna composta da centinaia di miliardi di astri.
Ma le galassie si allontanano sempre più le une dalle altre; o meglio, lo spazio si dilata trascinato dall'espansione dell'universo e porta con sé le galassie.
Quindi, se immaginiamo di invertire lo scorrere del tempo, dovremmo vederle avvicinarsi sempre più, fino ad arrivare a un'epoca del passato in cui tutto ciò che oggi esiste ha iniziato a espandersi.
Eccolo, il Big Bang. Arrivare a vederlo, sembrerebbe possibile. Guardare lontano nello spazio infatti significa andare anche indietro nel tempo.
Il Sole lo
vediamo come era 8 minuti fa, le stelle vicine come erano qualche decina di anni
fa, le galassie lontane come erano miliardi di anni fa.
Perché la luce, con cui studiamo gli oggetti celesti, per arrivare fino a noi
impiega un tempo che dipende dalla distanza dell'oggetto che osserviamo.
Allora, in
teoria, guardando lontanissimo, prima o poi dovremmo riuscire a vedere anche il
Big Bang.
Per esempio costruendo telescopi sempre più grandi (Vedi
1).
Come l'Extremely
Large Telescope in costruzione nel deserto di Atacama. O come il James Webb
Space Telescope, che forse sarà lanciato nel 2021.
Ma anche loro il momento esatto del Big Bang non lo vedranno.
Perché se è vero che guarderanno nelle profondità del cosmo come nessuno
strumento ha mai fatto prima, a un certo punto si dovranno fermare. In un punto
preciso, circa 380.000 anni dopo il Big Bang.
Questo è il confine che possiamo raggiungere con i telescopi, perché prima di quel limite (cioè nei suoi primi 380.000 anni di vita) l'universo non era trasparente alla luce: era opaco.
Ma, in pratica, ci si ferma prima, perché a quella distanza non c'è ancora nulla da osservare, almeno sotto forma di luce visibile.
Secondo i cosmologi, a quei primi 380.000 anni ha fatto seguito la cosiddetta Era Oscura, nel corso della quale si sono formate le prime stelle e le prime galassie.
L'Era Oscura sarebbe durata diverse centinaia di milioni di anni, forse un miliardo. Il dato di fatto è che la galassia più lontana conosciuta, chiamata GNz11, si trova a 13,39 miliardi di anni luce da noi, cioè circa 400 milioni di anni dopo il Big Bang.
RIPARTIAMO DAL PRINCIPIO
Allora, per spingersi più indietro nel tempo, bisogna cambiare strategia, o almeno lunghezza d'onda. Possono servire i radiotelescopi? Le onde radio hanno caratteristiche interessanti, e permettono di vedere fenomeni e oggetti che con la luce normale non si osservano.
Per esempio, i grandi radiotelescopi (Vedi 2) contribuiscono in modo significativo a ricostruire il passato dell'universo mettendo in evidenza remotissime galassie nei cui nuclei si trovano buchi neri colossali.
Ma anche le onde elettromagnetiche che raccolgono i radiotelescopi non arrivano da dietro il confine dei 380.000 anni.
La domanda, a questo punto, è: che cosa rappresenta quel limite? Per rispondere, conviene partire dall'inizio, cioè dal Big Bang, o da quella che gli scienziati chiamano più propriamente "singolarità iniziale".
Le prime fasi
di vita dell'universo sono state concitate: i primi 10-43
secondi successivi sono detti dai fisici "era
di Planck". Parliamo di un intervallo di tempo durato solo un
decimilionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo
di secondo.
Ma di quell'epoca non possiamo dire nulla, perché in quella situazione le leggi
della fisica perdono significato, come perde di significato anche il concetto di
tempo.
In un trambusto di strani fenomeni quantistici, poi, è arrivata l'inflazione. Una fase in cui l'universo si è improvvisamente dilatato modo esponenziale, e che è durata da 10-36 a 10-32 secondi dopo il Big Bang. Poi, prima che l’universo compisse un secondo di età, si formarono particelle: protoni, neutroni, elettroni, neutrini, … E poi, nel giro di 3 minuti, i primi nuclei atomici di idrogeno e di elio, i più semplici.
A questo
punto, c'è una fase di calma.
Per qualche centinaio di migliaia di anni, l'universo è un miscuglio di
particelle e di radiazione, densissimo e caldissimo; ma, espandendosi, si
raffredda.
Dopo 380.000 anni (ecco il confine), la
temperatura è calata abbastanza da consentire la formazione dei primi atomi: gli
elettroni si legano ai nuclei atomici.
E la radiazione non rimane più intrappolata. Si forma la radiazione
cosmica di fondo.
La radiazione di fondo è l'informazione più antica riguardante la storia dell'universo che possiamo raccogliere con gli strumenti tradizionali. Sono i fotoni più antichi che ci siano in circolazione.
Oggi la troviamo nel campo delle microonde, e corrisponde a una temperatura di -270,45 °C, quella attuale dell'universo.
Ma durante la
convulsa corsa delle prime fasi di vita dell'universo, erano avvenuti fenomeni
che hanno lasciato una traccia su di essa, sotto forma di minuscole differenze
di temperatura, ma non solo
(Vedi 3).
UN CAMBIO DI PROSPETTIVA
Per avvicinarsi al Big Bang, l'astrofisica moderna offre oggi strumenti che fino a qualche anno fa erano impensabili. Se infatti la radiazione elettromagnetica non può portarci informazioni sulle prime fasi di vita del cosmo, possiamo rivolgerci ad altri tipi di "messaggeri": i neutrini e le onde gravitazionali.
I primi sono particelle subatomiche molto difficili da catturare, che però si formano in grande quantità per esempio nel Sole, nelle altre stelle, nelle esplosioni delle supernove e arrivano fino a noi.
Anche all'alba del cosmo dovrebbero essersi formati neutrini, "fuggiti" nell'universo primordiale già un secondo dopo il Big Bang (Vedi 4).
Cosi come, nella fase inflazionaria dell'universo, dovrebbero essersi generate delle onde gravitazionali, increspature nello spazio-tempo che viaggiano alla velocità della luce (Vedi 5).
Solo nel 2016 si è avuta la prova che queste onde, ipotizzate 100 anni prima dalla Relatività generale di Einstein, esistono davvero. E in questi ultimi anni sono arrivate diverse conferme di onde gravitazionali prodotte in fenomeni estremi dell'universo, come la collisione tra due buchi neri.
Ma la rilevazione diretta di quelle di origine primordiale è ancora fuori dalla portata degli strumenti attuali, mentre è possibile per via indiretta studiando la radiazione di fondo.
Probabilmente saranno quindi i neutrini e le onde gravitazionali, con l'aiuto della radiazione di fondo, che ci avvicineranno al Big Bang.
1
I GIGANTI DEL PROSSIMO FUTURO
Sulla
cima del Cerro Armazones, in Cile, si sta costruendo L’ELT (Extremety Large
Telescope).
Con il suo specchio di 39.3 metri
di diametro, oltre il triplo dei più grandi attuali, promette scoperte
sensazionali.
Si
tratta di un progetto dell'ESO (European Southern Observatory), lo stesso
organismo internazionale che gestisce, sempre in Cile, il Very Large
Telescope e l'osservatorio radio Alma.
Lo
specchio dell'ELT è troppo grande per essere realizzato in un unico pezzo: per
questo è suddiviso in 798 tasselli esagonali,
accostati l'uno all'altro.
Ciascuno di essi è ampio circa 1,4 metri
e spesso 50 millimetri.
Un sistema di computer consentirà di aggiustare la forma dello specchio 1.000
volte al secondo, muovendo
impercettibilmente i singoli pezzi, in modo che la forma sia sempre quella
ideale.
L'ELT
dovrebbe essere operativo nel 2025.
Raccoglierà 15 volte più luce di qualsiasi telescopio esistente oggi e potrà
osservare le prime galassie formate nella storia dell'universo.
Esistono
solo altri due telescopi terrestri paragonabili: il TMT, da 30
metri, che gli Usa stanno
realizzando a Mauna Kea (Hawaii) e sarà pronto nel 2027,
e il GMT (Giant Magellan Telescope) da 25
m, operativo per il 2029
in Cile.
Il
James Webb Space Telescope, invece, è il colosso dei telescopi spaziali di
nuova generazione. Viene definito spesso come il successore di Hubble, ma è
molto di più.
Tutto,
di questo progetto, è rivoluzionario. Per esempio, il suo specchio segmentato
di 6,5 m di diametro
(contro i 2,4 di Hubble), troppo grande per essere infilato in un razzo. E
quindi inviato nello spazio "piegato".
O
la sua orbita, a 1,5 milioni di km dalla Terra,
che quindi non consentirà riparazioni una volta partito. Anche Webb potrà
studiare le prime stelle e le prime galassie apparse dopo il Big Bang.
Dopo molti rinvìi, dovrebbe partire nel 2022.
2
LE ANTENNE CHE ASCOLTANO IL CIELO
La
radioastronomia studia l'universo nelle onde
radio.
Ci sono infatti molte sorgenti nel cielo che emettono questo tipo di radiazione
elettromagnetica.
Le
prime scoperte furono il centro della nostra
galassia e il Sole.
Ma producono onde radio, per esempio, anche le molecole
complesse che si trovano
nelle regioni di formazione stellare, i resti di supernova
e le pulsar,
stelle di
neutroni che ruotano
vorticosamente su se stesse emettendo un fascio di onde radio che si ripete in
modo molto regolare nel tempo.
E,
ancora, una intera classe di galassie, le radiogalassie,
la cui emissione radio deriva dal buco nero
che si trova nel loro nucleo.
Anche i quasar
(il cui nome deriva dalla contrazione di "sorgenti radio quasi
stellari") sono galassie con un massiccio buco nero centrale.
Identificate in origine, anche a grandi distanze dalla Via Lattea, per la loro
emissione nelle onde radio.
Il più lontano quasar oggi noto, Ulas J1342+0928, si trova a 13,1
miliardi di anni luce da noi.
3
LA RADIAZIONE COSMICA DI FONDO
La
radiazione di fondo, in inglese CMB (Cosmic
Microwave Background),
si è formala 380.000 anni
dopo il Big Bang.
In
cielo è presente in ogni direzione, come radiazione a microonde a 2,7
°K di temperatura.
La
CMB ci racconta dell’epoca in cui radiazione e materia si sono separate e la
radiazione ha potuto viaggiare libera nello spazio.
Ma le caratteristiche della materia e della radiazione a quel tempo, chiamato
"era del disaccoppiamento",
dipendono da quanto era successo prima.
Nella
mappa della CMB realizzata dal satellite Planck
si notano minuscole irregolarità,
dell'ordine di una parte su 100.000, che riflettono fluttuazioni avvenute nelle
primissime fasi di vita dell'universo.
Queste
irregolarità di temperatura sono fondamentali: sono i "semi"
attorno ai quali si sono formate le grandi strutture dell’universo di oggi,
come gli ammassi di galassie.
Ma
dalla CMB può arrivare anche un'altra informazione. La radiazione
elettromagnetica è un'onda che oscilla nel tempo, mentre viaggia nello spazio.
E
le teorie prevedono che le onde gravitazionali primordiali prodotte
all'epoca dell'inflazione (VEDI
5) siano state in grado di polarizzarla, cioè di selezionare
alcuni modi di oscillazione rispetto ad altri.
In
altre parole, quelle antiche onde gravitazionali devono aver lasciato un segno
sul modo in cui oscilla la radiazione di fondo. Finora nessuno strumento è
stato in grado di analizzare questa proprietà della CMB con il necessario dettaglio.
Ma altri sono in fase di progettazione, sia dalla Terra sia dallo spazio.
4
A CACCIA AI NEUTRINI
"Vedere
il Big Bang" significa riuscire a percepire un segnale di qualche natura
emesso un'impercettibile frazione di secondo dopo di esso.
Gli studiosi indicano un simile segnale con l'aggettivo "primordiale".
Paradossalmente,
per osservare qualcosa di tanto primitivo servono apparecchiature futuristiche,
concepite per realizzare progetti visionari.
Per esempio, catturare i neutrini
che si sono formati circa un secondo dopo il Big
Bang.
Secondo
le teorie, a quell'epoca l'universo era un confuso insieme di fotoni,
quark
e neutrini,
molto caldo e denso, detto zuppa primordiale.
Man
mano che l'espansione procedeva, l'universo diventava sempre meno caldo e
denso.
Circa un secondo dopo il Big Bang, le condizioni furono tali che i neutrini
e il loro analogo di antimateria, ovvero gli antineutrini,
ruppero l'equilibrio e cominciarono a viaggiare liberi per il cosmo: una corsa
folle che continua tuttora.
Si
stima che oggi, in ogni centimetro cubo
dell'universo, potremmo trovare centinaia di
questi neutrini primordiali.
Ma nonostante siano così abbondanti è molto difficile studiarli.
I
neutrini non hanno carica elettrica e hanno una massa
cosi minuscola che per decenni si è pensato che fosse nulla.
Oggi sappiamo che è dell'ordine di un decimilionesimo
di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di grammo.
Con
queste caratteristiche, è molto difficile in generale catturare i neutrini e
ancora di più identificare se si tratta di neutrini primordiali oppure di
quelli prodotti, per esempio, dalle reazioni nucleari sulla Terra e nelle
stelle, a cominciare dal nostro Sole. Ma ci sono progetti che aspirano a farlo.
5
LE ONDE GRAVITAZIONALI
Le
onde gravitazionali primordiali sarebbero state prodotte
dalle oscillazioni dello spazio-tempo
che hanno contraddistinto il periodo
dell'inflazione.
In
quella fase, l'universo osservabile si è gonfiato come un palloncino (to
inflate in inglese significa "gonfiare"), aumentando le proprie
dimensioni da quelle di un protone a quelle di un'arancia.
Pensiamo a un lenzuolo che prendiamo ai quattro capi: mentre lo stendiamo, sulla tela si formano increspature, che man mano che tiriamo diventano più piccole, ma non vanno mai via del tutto.
Le
onde gravitazionali primordiali sono proprio le increspature cui è andato
incontro lo spazio-tempo durante l'inflazione: le loro caratteristiche
permettono quindi di ricostruire le condizioni dell'universo in quel momento
decisivo.
Da
allora l'universo ha continuato a espandersi, anche se non come durante
l'inflazione, e le onde gravitazionali primordiali hanno diminuito la propria
intensità.
Inoltre
non arrivano da una direzione precisa, ma pervadono l'intero universo, formando
un "rumore di fondo" che si mischia con le onde gravitazionali
prodotte in epoche più recenti da singoli fenomeni, come lo scontro di buchi
neri e la collisione di stelle di neutroni.
Rilevarle
quindi è un'impresa ardua, che però potrebbe essere alla portata della missione
Lisa dell'ESA, che potrebbe
partire intorno al 2034.
Si potrà magari giungere alla risposta
alla "domanda delle domande":
Perchè esiste qualcosa invece che il nulla?
e scoprire che l'universo
non solo poteva, ma doveva
avere origine.E' da notare che non esiste nel pensiero scientifico nulla che sia più vicino del Big Bang al concetto di Creazione, pertanto questo tipo di indagine ha risvolti filosofici del massimo livello.
Ai posteri la soluzione !