CIBO, quante bugie!
Migliaia di sostanze chimiche compongono ciò che mangiamo.
Benché la scienza le studi da anni, i falsi miti sono più diffusi che mai.
La buccia di mele e pere non è particolarmente ricca
di vitamine: ce ne sono di più nella polpa. Il glutammato non dà il mal di
testa. Lo zucchero di canna non è migliore di quello bianco. La fettina di
vitello non è il tipo di carne più nutriente. L'anemia non si cura mangiando
spinaci...
La nostra lista di affermazioni
"controcorrente" potrebbe continuare a lungo. Ma ne aggiungiamo solo
una: la spremuta d'arancia contiene anche sostanze
classificate come cancerogene (già, proprio la salutare spremuta!).
E ciò, anche se può sembrare strano, non è allarmante.
TUTTI CONVINTI
? Sorpresi?
Probabilmente sì. La ragione è che quando si tratta di cibo, i "falsi
miti", ovvero le affermazioni di cui praticamente tutti siamo convinti,
sono davvero tanti.
«E non è difficile capire perché» spiega Andrea
Ghiselli, medico del Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la
nutrizione. «Il mito diventa credibile quando si innesta su qualcosa di cui
sono tutti sicuri: per esempio il fatto che l'intervento dell'uomo peggiori il
prodotto, mentre di solito nell' industria alimentare vale esattamente il
contrario».
Non
c'è dubbio: ciò che è considerato naturale è visto come più buono, più giusto,
più sano e più sicuro. «Molti, per esempio, credono che "più è lunga la
lista degli ingredienti di un alimento peggio è", ma ciò demonizzerebbe il
minestrone! O che "la cottura riduce i nutrienti contenuti nei cibi"
e invece di solito è il contrario, perché aumenta la capacità dell'organismo di
assimilarli» aggiunge Ghiselli.
L'amore verso il naturale è anche alla base del
successo dei prodotti biologici, oltre che della generica convinzione che il
cibo "del contadino" sia migliore degli altri. Ma non è sempre così:
non è migliore dal punto di vista nutrizionale, per esempio. Parola di
scienziati.
MEGLIO BIO ?
Per
stabilire se gli alimenti di origine biologica siano più sani e nutrienti di
quelli convenzionali, infatti, la Food Standard Agency (l'agenzia britannica
per la sicurezza alimentare) nel 2009 ha commissionato la più grande rassegna
di ricerche scientifiche mai effettuata in questo campo.
I
ricercatori hanno esaminato i risultati di tutti gli studi che avevano messo a
confronto, dal punto di vista nutrizionale, prodotti biologici e prodotti
convenzionali. Il risultato: per 16 delle 23 categorie di sostanze nutritive
analizzate non ci sono differenze tra i vegetali prodotti in modo biologico e
quelli prodotti in modo convenzionale. Invariati, per esempio, calcio, potassio
e vitamina C. In generale, i prodotti convenzionali avevano in media un
contenuto più alto in azoto, mentre quelli biologici contenevano più zuccheri,
magnesio, zinco, flavonoidi.
In ogni caso la rassegna ha concluso: «Non ci
sono prove che una dieta più ricca delle sostanze che si trovano in quantità
maggiore nei prodotti biologici possa portare benefici a individui che abbiano
una normale dieta variata».
I risultati sono stati confermati nel 2012 da
un'altra vastissima ricerca dell'Università di Stanford, apparsa sugli Annate
of Internal Medicine.
NO AL PESTICIDA. Certo il biologico può avere
altre virtù: i prodotti ottenuti con questo tipo di agricoltura di solito
contengono meno residui di pesticidi. In secondo luogo, poiché i frutti vengono
spesso raccolti più tardi, in genere sono più gustosi. Inoltre i metodi bio
inquinano meno i suoli e hanno la funzione di preservare paesaggi agricoli che
con i metodi intensivi andrebbero scomparendo. Ma, dicono le ricerche, non
danno origine a prodotti più nutrienti. «A fare la differenza sono più le
condizioni agroclimatiche che l'utilizzo di letame anziché di fertilizzante
chimico, per esempio» osserva Dario Bressanini, chimico dell'Università
dell'Insubria.
DOSI, NON
VELENI. Del resto, la preferenza per
ciò che è naturale di per sé non ha senso. Almeno dal punto di vista chimico: «Si
potrebbe dire che siamo affetti da chemofobia, un rifiuto istintivo delle sigle
chimiche. Ci sono due principi di cui non riusciamo a capacitarci: il primo è
che una sostanza chimica di sintesi è perfettamente identica alla stessa
sostanza prodotta in natura. Il secondo è che nei viventi è sempre la dose che
fa il veleno» sottolinea Bressanini. La stessa sostanza chimica, cioè, può
essere utile o addirittura essenziale all'organismo a basse concentrazioni e
tossica in dosi più alte (è il caso per esempio dello iodio, contenuto in quantità
nelle alghe, che infatti vanno consumate con prudenza).
Così, è inutile allarmarsi perché alcune molecole assolutamente naturali contenute negli alcolici
(alcol etilico) o nel succo d'arancia (d-limonene) o nel basilico
(metileugenolo) sono risultate cancerogene in test di laboratorio
sui ratti.
I ricercatori della Berkeley
University fanno notare che la quantità di queste sostanze prosente negli
alimenti è bassissima e che, anche nei loro test, sembra essere più le grandi quantità
somministrate alle cavie a provocare i tumori, piuttosto che la sostanza in se.
Insomma, anche se "naturale" non è sinonimo di
"salutare", come crediamo, non c'è motivo di escludere questo o
quel cibo dalla nostra tavola.
DIETA E SANGUE. «Alcuni miti diventano
popolari perché sorprendono: come "la frutta va mangiata lontano dai
pasti" (falso). Basta che qualcuno "spari" un'affermazione di
questo tipo che i giornali la rilancino perché venga ricordata. Meglio se la
diceria nasce da qualche medico Usa che ha ideato una nuova dieta» dice
Ghiselli.
Così
si è diffusa per esempio la bufala della "dieta alcalina" basata sul
fatto che poiché il nostro sangue è lievemente alcalino (ha cioè un pH di circa
7,4) bisognerebbe "alcalinizzare" l'organismo mangiando soprattut o
alcuni tipi di frutta o evitando cibi come le carni, accusate di essere
"acidificanti", ideata dal modico statunitense Robert Young (che ha
una laurea ottenuta online da un'università non riconosciuta), è scientificamente
assurda: se il pH del sangue crescesse oltre 7,8 (o diminuisse oltre 6,8)
moriremmo.
Un'altra dieta-bufala che sta diventando popolare è
quella detta "del gruppo sanguigno" ideata dal naturopata americano
Peter D'Adamo: secondo i principi di questa dieta, a seconda del gruppo
sanguigno cui si appartiene bisognerebbe mangiare eerti cibi ed evitarne altri.
Chi è di gruppo 0, per esempio, dovrebbe consumare soprattutto carne, uova ed
evitare pane e pasta. Chi è di gruppo A dovrebbe privilegiare frutta e cereali,
chi è di gruppo B dovrebbe mangiare latticini e uova.
Un'idea
del tutto sballata: basti dire che la celiachia (intolleranza permanente al glutine) è
equamente distribuita in tutti i gruppi sanguigni. Se fossero vere le
affermazioni del dottor D'Adamo, dovrebbe essere più frequente nel gruppo 0,
quello "carnivoro".
Ma i miti sulle diete sono tanti: non è vero che
mangiare di notte fa ingrassare (le calorie sono calorie: gli studi
dimostrano che il peso non cambia anche se si arriva ad assumere il 65% del
cibo di notte).
Non è vero che bisogna mangiare poco e spesso: non c'è differenza, in
realtà, tra tre pasti abbondanti o sei frugali, come appurato da uno studio
australiano.
E il digiuno non disintossica. Anzi, se
prolungato può produrre un'autointossicazione da chetosi.
DUE LITRI.
Le
convinzioni sbagliate su come assumere i cibi si estendono all'acqua. Bisogna
berne "due litri al giorno", si dice. Ma non è vero. L'origine di
questa diceria è una raccomandazione del 1945 del National Research Council
statunitense, che suggeriva: «la quantità adeguata per un adulto è un
millilitro d'acqua per ogni caloria di cibo» e sottolineava che «gran parte di
questa quantità è contenuta negli alimenti».
La seconda affermazione s'è persa per strada, la
prima (trasformata nei 2 litri) è diventata un tormentone. E molto più sensato
quindi bere quando se ne sente il bisogno (fanno eccezione gli anziani,
ovviamente). E non è provato che bere tanto depuri l'organismo, migliori
la pelle o aiuti a dimagrire.
NON
È PETROLIO.
Molti invece
sono i cibi dei quali una caratteristica del tutto secondaria è stata esaltata
(come il ferro negli spinaci, vedi tabella) oppure "demonizzata"
(come il contenuto di grassi nella carne di maiale, oggi spesso più magra di
quella bovina).
Non è vero, per esempio, che lo zucchero grezzo sia da
preferire a quello bianco raffinato: «Ancora una volta è colpa del
pregiudizio contro gli alimenti più lavorati in favore di quelli ritenuti più
naturali: la parola raffinato a qualcuno può far pensare al petrolio, ma
e solo un termine chimico che significa "liberato da impurità". La
molecola dei due zuccheri è la stessa» insiste Bressanini. Nella melassa
dello zucchero grezzo si trova sì qualche sale minerale, come il potassio
(assente nello zucchero bianco), ma in quantità così basse da non avere alcuna
importanza nutrizionale.
Allo stesso modo, si crede che la frutta non vada
sbucciata perché si perderebbero vitamine: la buccia contiene fibra
(presente anche nella polpa, però), ma non è particolarmente ricca di
vitamine. E mangiarla a fine pasto non fa male, anzi: il fatto che
contenga vitamina C facilita l'assunzione del ferro presente negli alimenti
vegetali che altrimenti sarebbe meno disponibile, inoltre la sua acidità
contribuisce a ripulire la bocca dai grassi.
LA
PAURA DEL CINESE. Un
altro grande accusato, del tutto a torto, è il glutammato monosodico, un
esaltatore di sapidità tipico della cucina asiatica, marchiato come pericoloso,
tossico, allergenico e addirittura cancerogeno.
Tuttavia: «Sono stati condotti moltissimi studi che
hanno scagionato il glutammato» assicura Bressanini. «Chi sta male dopo aver
mangiato al ristorante cinese deve dar la colpa al troppo sale, ai fritti, alla
eventuale cattiva qualità degli ingredienti. Ma non al glutammato, che è il
sale di un aminoacido, l'acido glutammico, costituente fondamentale delle
proteine, presente in parecchi alimenti (pomodori, carne, pesce,
parmigiano...)».
Anche sull'uovo vi sono numerosi
pregiudizi, tra l'altro quello che sia difficile da digerire, ma tutte le
ricerche confermano che è uno degli alimenti più digeribili in assoluto. Si pensa anche che l'uovo
crudo sia più nutriente dì quello cotto ma è vero l'opposto: nel primo caso
l'albumina (la proteina presente nel bianco dell'uovo) non viene digerita,
mentre basta che l'albume si sia coagulato con la cottura perché l'intestino
umano diventi capace di assorbirla.
RICORDI AL
FOSFORO. Ancora
qualche mito da sfatare? Il pesce non è poi così ricco di fosforo: ci
sono alimenti che ne contengono decisamente di più, come i legumi o la frutta
secca. E, comunque, assumere più fosforo con l'alimentazione non aiuta la
memoria.
Le
carni bianche non sono in generale più magre di quelle rosse (un etto di lombata ha solo
5 grammi di grassi, un etto di coscia di pollo può arrivare a 9 grammi).
Le
carni surgelate non sono meno nutrienti di quelle fresche (cosi il pesce).
E l'amaro a fine pasto non fa digerire:
l'alta gradazione alcolica dei liquori (30-35°) irrita le pareti dello stomaco
e può rallentarne lo svuotamento. Aiuta, invece, un bicchiere di vino durante
il pasto, perché la bassa gradazione alcolica stimola la secrezione gastrica.
Come dicevamo, potremmo continuare a lungo...
Per anni ci è stato detto che esistono un colesterolo
"cattivo", o Ldl (a bassa densità), e un colesterolo
"buono", o Hdl (ad alta densità): il primo che aumenta il rischio di
malattie cardiovascolari, il secondo che lo abbassa. Ma è tempo di rivedere questo schema. Secondo una recente
ricerca della Harvard School of Public Health, alcune molecole Hdl, pari al 13%
del totale, circolano accompagnate da una proteina coinvolta nei processi
infiammatori e non sarebbero quindi affatto positive per cuore e arterie. Anche
altri studi hanno messo in discussione la bontà assoluta del colesterolo Hdl.
Mentre è appurato oltre ogni ragionevole dubbio che abbassare i valori del
malefico Ldl nel sangue (attraverso la dieta, l'esercizio fisico o i farmaci)
aiuti a prevenire l'infarto, vacilla l'idea che innalzare le Hdl sortisca
sicuri benefìci. L'anno scorso una maxi ricerca su oltre 170 mila persone,
pubblicata da Lancet, ha concluso che chi è predisposto ad avere alti livelli
di colesterolo buono (quindi, in teoria, dovrebbe essere più protetto) ha
invece la stessa probabilità di subire un attacco di cuore dei
"normali". Si spiegherebbe così anche il flop di medicinali capaci di
incrementare le Hdl, ma inefficaci nel diminuire l'incidenza di infarto. È la
fine di un mito? Non del tutto. Secondo gli esperti, la relazione tra
colesterolo buono e malattie cardiovascolari è complessa, e la biochimica delle
particelle Hdl (di cui esistono diverse varianti) è ancora oggetto di studio.
Uccide migliaia di persone ogni
anno, eppure non se ne parla molto. Il monossido di di-idrogeno (DHMO) è
incolore, insapore e inodore, proprio come il pericoloso monossido di carbonio.
È ampiamente utilizzato nelle centrali nucleari, ma anche come solvente
industriale, in tutto il mondo. Inoltre, è il componente fondamentale delle
piogge acide. Quel che è peggio, si trova praticamente in tutto ciò che
mangiamo. Soltanto alcuni alimenti, come l'olio extravergine di oliva, ne sono
del tutto privi. Viene spesso addizionato al vino ed è presente nel latte
(compreso quello per i neonati) che si compra al supermercato. Quasi inutile
dirlo, il DHMO è anche il componente più importante delle bibite gassate,
Coca-Cola in testa. Ma è un prodotto non regolamentato. Perché allora nessuno
fa nulla? RESTATE
CALMI. Non correte a svuotare il contenuto del frigorifero
nell'immondizia o a diffondere questa informazione su Facebook. Il monossido di
di-idrogeno, infatti, non è altro che... l'acqua (H2O), elemento fondamentale
per la nostra vita. Tutto quello che abbiamo scrìtto qui sopra, però, è
assolutamente vero: Questa "burla scientifica” è stata diffusa per
dimostrare come sia facile, mettendo qualche sigla chimica e presentando i
fatti solo sotto una certa luce, creare allarmismo nel campo alimentare. Ogni
volta che qualche ricercatore la posta nel suo blog c'è sempre qualcuno che la
riprende, generando un'allarmante catena di Sant'Antonio.
Gli agrumi a fine cena non
causano acidità di stomaco, né sono pesanti.
Possono fare questo effetto
solo a chi soffre di gastrite.
—
Il taglio migliore? Non è il filetto
Non
è vero che la fettina di vitello sia il tipo di carne migliore, e nemmeno il
filetto. Non hanno più proteine di altri tagli bovini (il contenuto proteico è
sempre più o meno lo stesso) né più ferro. A seconda dei tagli varia invece il
tenore in grassi.
Tagli
di Bovino (100 g)
|
PROTEINE (g) |
GRASSI (g) |
FERRO (mg) |
CALORIE |
Filetto |
19,7 |
5,6 |
1,8 |
129 |
Lombata,
costata |
21,5 |
6,1 |
1,8 |
140 |
Girello,
fesa, soltofesa, noce, scamone |
|
|
|
|
(tagli
da bistecca, roastbeef ) |
21,3 |
2,8 |
1,8 |
108 |
Copertina
di spalla, collo (tagli
da bolliti, spezzatini, brasati) |
19,8 |
6,6 |
2 |
138 |
Spalla (tagli per
arrosti, scaloppine, involtini) |
21,4 |
2 |
1.7 |
104 |
Pancia,
biancostato |
|
|
|
|
(tagli
per bolliti, hamburger, ragù) |
20,2 |
8,3 |
1,7 |
155 |
Geretto |
|
|
|
|
(tagli
per umidi, ossobuco, bolliti) |
20,9 |
2,6 |
1,7 |
107 |
Una persona su cinque è convinta di avere qualche
problema con specifici alimenti. Ma non si tratta né di allergia (una reazione
del sistema immunitario, marcata da anticorpi, le immunoglobuline), né di
celiachia (malattia di tipo autoimmune dovuta al glutine del grano che si
caratterizza in una intolleranza permanente a tutti i cibi che lo contengono).
Eppure, i sintomi ci sono: pancia gonfia, meteorismo, dolore addominale,
diarrea, mal di testa.
Che sia intolleranza? Una mirìade di test (ìl Vega,
l'Alcat, il Dria, la citotossicità, l'analisi del capello, fino all'esame del
Dna) è pronta a rispondere. «Ma nessuno di questi test ha validità
scientifica» mette in chiaro Antonino Musarra, vicepresidente
dell'Associazione allergologi immunologi territoriali e ospedalieri (Aaito)
«tant'è che se un paziente lo ripete dopo un po' di tempo ottiene spesso un
risultato diverso».
Intendiamoci, alcune
intolleranze alimentari esistono (anche se non sono così diffuse). «Quelle
legate al deficit di un enzima, come la lattasi per chi non digerisce il latte,
si riscontrano in laboratorio con il test del respiro» dice Donatella Macchia,
allergologa presso l'Ospedale S. Giovanni di Dio dì Firenze, nel direttivo
della Società italiana di allergologia e immunologia clinica (Siaic).
«Per altre, causate da additivi
(come i solfiti del vino) o altre sostanze (come ristamina, presente in
fragole, crostacei, cioccolato), non c'è però un marcatore biologico, e quindi è
diffìcile diagnosticarle». In molti casi, l'origine del disturbo è una
patologìa infiammatoria intestinale, trattata la quale i fastidi scompaiono.
Il consiglio? «Rivolgersi agli specialisti:
l'allergologo, che potrà escludere patologie immunitarie, e il gastroenterologo
per approfondire il reale problema» aggiunge Musarra.
Il ferro tanto decantato come componente degli
spinaci viene in realtà assorbito dal sistema digerente solo in mìnima
parte. L'intestino umano, infatti, può assorbire tra il 2% ed il 10% del ferro
fornito dai vegetali (ferro trivalente) e tra il 10-35% dì quello contenuto
nelle fonti animali (ferro bivalente).
Inoltre esìstono alimenti ben
più ricchi di ferro rispetto agli spinaci. Ecco qualche esempio.
FERRO IN
100 g |
|
Fegato bovino |
8,80 mg |
Muesli |
8,20 mg |
Rognone |
8,00 mg |
Fagioli secchi |
6,70 mg |
Vongole |
6,10 mg |
Ceci |
6,10 mg |
Rane |
6,00 mg |
Lenticchie |
5,10 mg |
Cioccolato |
5,00 mg |
Arachidi |
3,50 mg |
Nocciole |
3,30 mg |
Farina integrale |
3,00 mg |
Spinaci |
2,70 mg |